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Carlo Auteri (FdI). Lettera aperta a operatori, lavoratori, artisti e maestranze del settore teatrale e dello spettacolo: “Il segreto, la pianificazione preventiva”

"Il punto è la solidarietà fra di noi. Il segreto la pianificazione preventiva. La programmazione in sede legislativa. Il computo reale della fiscalizzazione delle imprese che si occupano di arte e divulgazione, il costo del lavoro oggi insostenibile. È nella percezione di tutti, la marea di consensi che il partito per il quale sono candidato riceve giorno dopo giorno, ora dopo ora"

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di Carlo Auteri, imprenditore culturale e candidato con Fratelli d’Italia alle prossime elezioni regionali agli operatori, ai lavoratori, agli artisti e alle maestranze del settore teatrale e dello spettacolo.

“Salve a tutti, non mi dilungo nelle presentazioni, perché la nostra comunità di “teatranti, è talmente piccola, che sarebbe impossibile non sapere tutto di tutti. Nel bene e nel male. Vado, perciò, subito al dunque, con alcune riflessioni che riguardano direttamente tutti noi che abbiamo scelto (prima o dopo, per passione o per caso, per vocazione o per rinuncia, davanti o dietro le quinte) il mestiere meraviglioso che facciamo, e che tutti ci accomuna.

I due anni disastrosi di pandemia ci hanno definitivamente spiegato – qualora ce ne fosse stato bisogno – che la nostra realtà umana (“nostra” di uomini e donne “di Teatro”) è frammentata e divisa, come e forse più di quella lavorativa e aziendale. Per quanto potesse essere imprevedibile il danno del Covid, questa mancanza di collegamento fra le varie anime del nostro settore (fra gli operatori, fra l’impresariato e gli artisti, fra le diverse figure professionali, persino fra le produzioni e il pubblico) ha caricato disastro su disastro, incertezza su incertezza, panico su panico. Nei mesi terribili dei vari “lockdown”, si è dovuto ricorrere a interventi estremi ma confusi, necessari ma improvvisati. Se la crisi post-pandemica e quella economica che ci arriva dalla guerra, ci lasceranno un minimo spazio di respiro e ragionamento, non dobbiamo perdere tempo: bisogna mettere mano su un piano di riorganizzazione serio delle figure professionali e delle loro competenze. Della loro “dignità” umana, prima che lavorativa, aggiungo io.

E tuttavia, se come dice Vasco, “siamo ancora qua”, non possiamo disconoscere l’enorme contributo che le scelte della nostra Regione ha messo sul piatto dell’aiuto concreto e persino del salvataggio. Delle imprese, delle istituzioni storiche, del settore pubblico come di quello privato. Salvataggio delle persone. Degli esseri umani. Della dignità del lavoro che non erano più, né in grado di svolgere, e neppure di ricollocare. Un lavoro che era, semplicemente, scomparso.

Dico queste cose perché è la verità. E lo scoglio al quale ci siamo aggrappati, quando eravamo ad un minuto dall’affogare, ha un nome e un cognome: Manlio Messina. Se ne avete voglia, potete fare un giro in Rete per capire il quadro, l’entità, la struttura di questo sostegno. Ormai “Google” ci racconta tutto. Anche dei decreti a sostegno economico, pensati senza preclusione per alcuno né priorità ideologiche. Sono fatti. E la realtà si nutre dei fatti. Se fossi polemico aggiungerei: come nessun Governo di Sinistra aveva o avrebbe fatto. Ma non è la polemica il centro di questa lettera.

Il punto è la solidarietà fra di noi. Il segreto la pianificazione preventiva. La programmazione in sede legislativa. Il computo reale della fiscalizzazione delle imprese che si occupano di arte e divulgazione, il costo del lavoro oggi insostenibile. È nella percezione di tutti, la marea di consensi che il partito per il quale sono candidato riceve giorno dopo giorno, ora dopo ora. Una scelta libera, che una parte estesissima del nostro Paese, sembra stia maturando o abbia già maturato. Quanto “estesa”, non sappiamo con certezza, perché le cifre appartengono alle urne. Non un televoto, ma alle schede elettorali. Non a una riffa di beneficenza, con pacchi di pasta e scarpe spaiate, ma ai gabbiotti delle sezioni di tutta Italia. Anche questa è una realtà. E il mortificarla, mortificando con essa milioni di uomini e donne, la loro intelligenza e la loro condizione di persone per bene, non è ne ideologico né onesto e neppure utile. È l’esercizio di un pregiudizio. Una risorsa un po’ misera, se mi si passa l’espressione.

Il mio sogno iniziale era quello di fare l’attore. Non ero figlio d’arte e la mia condizione familiare era poco più che modesta. Ma amavo il Teatro come nessuno del mio ambiente sociale arrivava a comprendere. Col tempo ho imparato a conoscermi meglio e sono passato dall’altra parte del sipario. E oggi mi piace moltissimo quando mi definiscono “imprenditore della cultura” : non di scarpe o di profilati in alluminio, ma di quella materia fatta di sogni che mi faceva impazzire da bambino. Turi Ferro, Ida, Pippo e Tuccio, lo Stabile di Catania; poi Enrico e la sua Compagnia. Il Teatro, punto e basta.

Da Martoglio a Brancati, passando per Verga, Pirandello e Sciascia. Fino a questa settimana, con “Assassinio nella Cattedrale”, di Elliot. Un monumento alla laicità dello Stato, alla Democrazia. Una denuncia chiara e precisa contro l’abuso, la violenza e la dittatura. Con la regia di Guglielmo Ferro e la straordinaria interpretazione di un artista come Moni Ovadia. Devo aggiungere altro? Il Teatro fatto al meglio del suo compito millenario. Senza pregiudizio. Appunto. A presto”.


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