Il 20 febbraio del 2020 all’ospedale di Codogno arrivò il risultato del tampone effettuato su un giovane paziente: fu lui il primo colpito dal virus. L’Italia rimase chiusa per mesi. Dopo centinaia di morti e moltissime persone infettate come siamo cambiati? Mascherine, vaccinazione, isolamento, No Vax, piano pandemico, siamo diventati un popolo più resiliente?
A cinque esatti dal lockdown che ha colpito tutta la Penisola, da Nord a Sud, cosa abbiamo imparato dalla crisi del Covid-19? Abbiamo pianto le vittime, per il ministero della Salute sono stati oltre 197mila, ci siamo divisi e abbiamo litigato. Ci siamo distanziati (forzosamente) e ci siamo isolati (volontariamente). Abbiamo vissuto una pandemia che non si vedeva in Europa da oltre 100 anni. Abbiamo imparato a vivere con le mascherine, che ancora spuntano su alcuni mezzi di trasporto o su alcuni voli quando prima erano obbligatorie. Ma non abbiamo ancora un piano pandemico nazionale per effettuare un’eventuale nuova emergenza.
“C’è stata la grande illusione nell’estate del 2020 e questo fece allentare le difese – ha detto Anselmo Madeddu, presidente dell’Ordine dei Medici di Siracusa. La grande fortuna è stata che la prima ondata ci aveva consentito di preparare le strutture, di rifornirci di presidi. All’inizio mancavano le mascherine, i reagenti per fare i tamponi, mancava tutto nel nostro Paese”.
Il lockdown è stato uno shock per molti ma le conseguenze si sono viste nel lungo periodo, soprattutto per le fasce della popolazione più vulnerabili, come donne e adolescenti. Molti di noi hanno ricordi indelebili di quel periodo: computer condivisi tra famiglia e scuola, didattica a distanza, tempo, tanto tempo da trascorrere tra le mura di casa. Smart working, entrato ormai nel dizionario.
“Le conseguenze sono state diversificate – ha commentato Roberto Cafiso, componente del tavolo tecnico Salute Mentale del Ministero della Salute – e dipendono anche dalla struttura di ogni singolo individuo. Gli adolescenti sono stati i soggetti più fragili perché abituati a un ritmo di vita molto dinamico si sono dovuti limitare”.
I numeri del ministero della Salute sono freddi e non contestabili, raccontano una tragedia che nessuno ipotizzava e che forse nessuno aveva nemmeno potuto prevedere. In 5 anni 27.191.249 casi, di cui 513.845 tra gli operatori sanitari; 45 anni è l’età media dei pazienti. Alla fine, sono 197.563 i morti e 25.402.836 i guariti. Solo l’anno scorso, a pandemia conclusa, i decessi in Italia sono tornati ai livelli pre-Covid con 646mila. In quattro anni si tratta di 246mila decessi in più, numero più alto dei 197mila ufficiali, con un calo dell’aspettativa di vita in tutta Europa (di 0,36 anni in Italia quando prima la crescita annuale era di 0,24 anni).
L’arrivo del vaccino aiutò le guarigioni e la protezione ma aprì una crisi tra due correnti di pensiero, favorevoli e contrari. “Da uomo di scienza i medici hanno preso una posizione netta a favore del vaccino – ha commentato Madeddu – Il vaccino ha risolto tantissime cose nella storia, il vaiolo è scomparso grazie al vaccino. Paradossalmente il vaccino è stato vittima del suo stesso successo”.
Il Covid-19 ha rimodellato le interazioni sociali, con una maggior dipendenza della comunicazione digitale e una diffusa percezione che ridurre le interazioni sociali ci potesse tenere più al sicuro. “Siamo ancora in una fase di assestamento – ha concluso Cafiso – le persone vogliono capire fino a che punto si possono fidare della scienza e della società. È stato uno sconvolgimento generale complessivo”.
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