Ci risiamo, manca poco e ci troveremo nuovamente accerchiati da santini, amici, cugini, parenti e amici degli amici che vorranno sapere se “siamo impegnati con il voto”. È storia vecchia, e si riproporrà ancora una volta, come è giusto che sia (inutile combattere le tradizioni folcloristiche della propria terra, perché di folclore si tratta). Sono cambiate molte cose dal 2013, è cambiato tutto per l’esattezza: la città sta provando a trasformarsi e potremmo star qui a raccontarvi quanto sia bella o brutta, pulita o sporca, piena di turismo casuale oppure organizzato e bla bla bla. Insomma, ci risiamo, adesso iniziano le promesse elettorali. Ma intanto cosa è cambiato nelle nostre teste?
Siamo divisi tra chi ci crede e chi aspetta, tra chi sporca e chi pulisce, tra chi accoglie e chi non sa cosa voglia dire. Siamo strani, siamo in piena evoluzione (o involuzione o rivoluzione, fate voi). Cinque anni fa si accennava al turismo, oggi sopravviviamo anche grazie a quello che ci arriva, sfruttando le case dei nonni in Ortigia o le seconde abitazioni balneari che diventano fonte di reddito della generazione dei giovani/meno giovani che non hanno trovato un posto fisso. E gli altri restano a guardare o cercano uno spazio di business tra le stradine di Ortigia. Chi ancora crede nella zona industriale e aspetta la chiamata, chi manda curricula fuori regione o sogna di andare a lavorare all’estero, anche se Londra sembra aver rotto il giocattolo con l’uscita dall’euro, ma resta Barcellona (quella spagnola).
La città cambia, tra buche stradali che aumentano e navi da crociera, viste come un miraggio di economia, in arrivo. L’isola di Ortigia talvolta è deserta o strapiena senza grandi vie di mezzo, troppo spesso amata e bistrattata al tempo stesso da persone che la vivono e la intendono i modo diverso: c’è chi la vorrebbe piena di solarium e chi la desidera ancora come un piccolo paradiso abusata dal commercio. Eppure, la domanda che non trova una risposta, continua a battere nello stesso punto: noi, da grandi, chi vogliamo essere?
Siracusa, non è solo Ortigia, questo è certo, ma è e resta il nostro grimaldello per scassinare la comunicazione internazionale e veicolare il nostro biglietto da visita. Tutto bello, tutto funzionale, sembra tutto facile. Non è così e, tornando alla campagna elettorale, da chiunque dovesse vincere non mi aspetto alcun miracolo. Senza soldi non si canta messa, diceva un vecchio detto, e qui di soldi non ne girano. Pochi, anzi, e la Regione dopo anni di silenzio continua a non dare alcun segno di vita, anche se è vero che è passato troppo poco tempo per vederne i risultati di bontà o fallimento. Che sia di destra, di sinistra, sotto una falsa lista civica o che abbia le stelle, la città non ha ancora capito chi vuol essere da grande.
Sapete quali sono gli articoli di maggior interesse? Quelli che parlano di Siracusa, vista dal resto del mondo. Un esempio, per capirci: “Ortigia scelta per le buste di D&G per il mercato europeo” o il tizio x, siracusano, diventato un personaggio importante all’estero (ma che a siracusa non si filava nessuno, ovviamente). Ok, è solo un esempio ma per capire che abbiamo un orgoglio fuori controllo a fasi alterne, vogliamo far vedere a tutti quanto siamo bravi. Belli. Pazzeschi. Esistiamo da ben 2750 anni.
Solo che poi non si riesce a fare la raccolta differenziata e si scopre che in molti non pagano la Tari, quindi non si sono ancora autodenunciati, quindi non possono ritirare i mastelli, quindi buttano i rifiuti nei cortili delle altre persone o nei pochi cassonetti rimasti in città. Quindi? Ecco, quindi, chi siamo? Quante personalità ha questa città? Una città che deve evolversi, giusto, ma con lo sforzo di tutti. Le auto in doppia fila sono ovunque e a poco valgono gli sforzi dei vigili se il cambiamento prima non parte dalle nostre abitudini. E chi non ha mai buttato una carta dal finestrino? Vi propongo tante domande e poche risposte, ma ognuno di noi potrebbe farsene una, semplice: “che cittadino voglio essere da grande”? E poi, prima di votare il cugino dell’amico dello zio preferito, chiedetegli che politico vuole essere da grande, se getta carte dal finestrino dell’auto o se mette la macchina nello spazio per disabili per solo quei due minuti esatti per comprare le sigarette (la più classiche delle scuse possibili). Iniziamo dalle piccole cose, le grandi cose non sono altro che la somma di quelle apparentemente più piccole.
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