Una cimice trovata all’interno della stanza di un Pm dallo stesso magistrato è un fatto grave, anzi gravissimo. Perché può voler dire due cose soltanto: o la cimice è autorizzata e quindi si teme per la condotta del sostituto procuratore oppure la microspia non è autorizzata e si deve temere per l’incolumità del Pubblico ministero.
In questo momento bocche cucite da parte del procuratore Capo Francesco Paolo Giordano e dal presidente della Giunta distrettuale dell’Associazione nazionale magistrati Antonino Nicastro. Non si può certo dire che sulle possibili intercettazioni non ci sia niente da nascondere, perché non può essere così: i magistrati utilizzano i telefoni degli uffici nelle attività d’indagine che, ovviamente, sono segretissime.
Nel 2011 a Palermo venne trovata una cimice nella stanza del Pm Lia Sava, lo stesso ufficio che fino a pochi giorni prima era di Antonio Ingroia. Erano loro tra i giudici più esposti della Dda palermitana, entrambi titolari dell’ indagine sulla trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra. Nel 2014 invece si trovò una microspia nell’ufficio di un gip a Trapani, con la Procura di Roma che aveva chiesto e ottenuto di piazzarla nell’ambito di una inchiesta condotta su presunti favori che sarebbero stati assicurati dal magistrato napoletano ad alcuni imprenditori.
Ecco perché non può essere sottaciuta una notizia del genere, che se falsa deve essere smentita immediatamente dalla Procura (non è stato fatto), se vera non si può però far finta di nulla e andare avanti come se i Veleni in Procura non fossero mai esistiti. Già, perché la nostra Procura viene da un periodo non facile che ha portato al trasferimento e a procedimenti penali nei confronti di magistrati e sicuramente merita di lavorare con tranquillità. Quella che oggi, sicuramente, non c’è.
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni