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Ognina di Siracusa: storia, archeologia e la necessità di un museo subacqueo. L’incontro a Villa Reimann

Poiché l’archeologia subacquea – ha detto Paolo Scalora – è nata anche a Siracusa, è un vero peccato che la città non disponga di un relativo museo”

La conferenza “Ognina di Siracusa: dalla preistoria ad oggi”, tenuta dall’archeologo, Paolo Scalora, e svoltasi nella biblioteca di Villa Reimann, oltre che accurato excursus della località in questione, è divenuta occasione per sottolineare la mancanza di un museo archeologico subacqueo nella nostra città.

Dopo l’intervento introduttivo del presidente dell’associazione Christiane Reimann, Marcello Lo Iacono, il relatore, dinanzi ad un folto e attento uditorio, ha sottolineato, innanzitutto, come Ognina, posta a 10 chilometri da Siracusa e compresa tra Arenella e Fontane Bianche, abbia una storia archeologica relativamente recente.

Soltanto a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, infatti, il sito divenne oggetto di ricerca ad opera dell’archeologo Luigi Bernabò Brea e Gerhard Kapitan. Inoltre, sebbene dal punto di vista storico, la località non vanti testimonianze nella letteratura latina e in quella greca, abbiamo a disposizione qualche dato topografico.

Per esempio, Claudio Tolomeo nella sua “Geografia” menziona un promontorio identificato da tempo con l’attuale Capo Ognina. In alcune carte storiche, poi, il promontorio è definito “Longum promontorium”, una denominazione estesa che fu ridotta a “Capo longo”. “Poiché l’archeologia subacquea – ha detto Paolo Scalora – è nata anche a Siracusa, è un vero peccato che la città non disponga di un relativo museo”.

Nel 1966, Bernabò Brea, ritrovò ceramica neolitica, nonché una chiesetta del periodo bizantino posta sull’isolotto che, a seguito dell’innalzamento del livello del mare, si separò dal resto della terraferma. Nel 1970 fu Kapitan a ricostruire la topografia sottomarina e ad individuare i resti dell’antico istmo. Il canale, inoltre, ha un’origine fluviale e ciò che esiste del porticciolo di Ognina corrisponde alla metà dell’incisione valliva. Negli anni ’80, un’altra archeologa, Beatrice Basile, studiò un impianto industriale nei pressi di Capo Ognina, costituito da strutture circolari scavate nella roccia e che interpretò come fornaci per la calce.

Negli ultimi anni, un gruppo di studio, poi, ha ritenuto che le stesse fossero adibite alla lavorazione della porpora. Per quanto riguarda la torre di Ognina, fatta costruire dal re Martino I, e che in passato serviva per l’avvistamento dei corsari, nell’800 perse la funzione per la quale era stata realizzata, riducendosi ad un rudere. Nel XVI secolo alcuni ingegneri militari sottolinearono le condizioni infelici della torre che abbisognava di un intervento di ampliamento.

Nel 1664 il pittoresco porto di Ognina fu immortalato da Schellinks in una incisione da cui emerge anche l’esistenza della chiesetta che, già ricostruita e dedicata a santa Maria Dell’Ognina, era stata eletta a luogo di culto dai pescatori. Paolo Scalora, che ha raccolto le relazioni degli ingegneri, ed accorpato le cartografie storiche, nonché i toponimi, ha pubblicato un suo saggio sull’origine delle denominazioni “Plemmirio” e “Capo Murro di porco” nella Rivista italiana di onomastica(Rion).


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