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Omicidio Naima Zahir: chiesta la perizia psichiatrica per il tappezziere di Lentini

Al processo rinviato al 21 marzo si costituiscono parte civile la madre, due sorelle e il fratello di Naima Zahir con il patrocinio degli avvocati Giuseppe Cristiano e Letizia Grasso

A un anno esatto si ritorna a parlare dell’efferato omicidio di via Ronchi e del tappezziere Massimo Cannone reo confesso di aver ucciso la moglie, Nahima Zahir, 45 anni di origini marocchine a coltellate. La difesa di  Cannone ha avanzato la richiesta di sottoporre l’imputato a perizia psichiatrica.

La Corte d’assise si è riservata sull’istanza per decidere solo quando avrà conosciuto meglio gli atti del processo. I giudici, invece, hanno ammesso tutte le richieste di prova avanzate sia dalla difesa sia dal rappresentante della pubblica accusa e  rinviato il processo all’udienza del 21 marzo quando sarà avviata l’istruttoria dibattimentale con l’esame dei primi testi citati dal pubblico ministero.

Al processo si costituiscono parte civile la madre, due sorelle e il fratello di Naima con il patrocinio degli avvocati Giuseppe Cristiano e Letizia Grasso. I familiari della vittima sostengono che Cannone abbia agito con premeditazione e odio.

Il tappezziere lentinese, durante l’interrogatorio di garanzia in presenza del procuratore capo confessò  di avere ucciso la sera del 12 marzo  la moglie Naima Zahir,  con due coltellate alla gola. Assistito dall’avvocato Alfio Caruso, ricostruì nei dettagli i momenti del brutale omicidio. confessando  di aver sferrato la prima coltellata mentre la moglie distesa sul letto matrimoniale  con le cuffie alle orecchie, guardava il cellulare. Ancora viva avrebbe chiesto al marito “perché mi fai questo se io ti ho sempre amato e rispettato”. Poi dopo aver estratto la lama, la riaffondò nel collo della vittima. Il secondo colpo fu letale. Successivamente alterò la scena del crimine lavando il sangue con uno straccio. Convinto di averla fatta franca raccontò  un castello di bugie al quale però, polizia e magistratura non hanno mai creduto.

L’ attività investigativa eseguita  dalla Squadra mobile, dagli investigatori  del Gabinetto Regionale di polizia Scientifica che hanno operato in sinergia con il personale della Questura di Siracusa e gli agenti del commissariato di Lentini, consentirono in breve di evidenziare che la scena del crimine era stata inquinata dallo stesso Cannone che stava, tra l’altro, progettando di lasciare la città.


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