Assolta per non aver commesso il fatto. Si è conclusa così la vicenda che ha visto coinvolta una donna siracusana, citata in giudizio dall’ex europarlamentare e oggi segretaria nazionale del Partito Democratico, Elly Schlein. La vicenda nasce da un commento che nel giugno del 2019 la siracusana avrebbe pubblicato sul social network Twitter (oggi X), nel quale, parlando di immigrazione clandestina, avrebbe sostenuto che la Schlein fosse finanziata da George Soros e che quindi non facesse gli interessi degli italiani, ma del finanziere ungherese naturalizzato statunitense. Un’accusa ritenuta infamante dalla segretaria del PD, che quindi aveva deciso di sporgere querela per diffamazione.
Sul tema la Schlein ha rigettato ogni tipo di accusa, sostenendo come la stessa non avesse mai ricevuto alcun tipo di finanziamento diretto o indiretto da Soros o da associazioni a lui riconducibili. Per valutare l’ipotesi accusatoria ci si è avvalsi della Polizia Postale che aveva eseguito alcuni accertamenti, come ad esempio l’incrocio dei dati dell’imputata sui social con quelli presenti nella sua carta di identità, valutando quindi attendibile che quel commento fosse stato scritto proprio dalla siracusana.
Una tesi rigettata dall’avvocato Laura Bordone, difensore della donna, che avvalendosi di un consulente tecnico di parte, il dottor Antonio Barone, ha sostenuto come l’unico modo per avere assoluta certezza che a scrivere quel commento fosse stata la sua assistita, era quello di fare una rogatoria internazionale per avere tutti i dati dalla piattaforma Twitter (cosa non fatta dalla Polizia postale in quanto la piattaforma social si è sempre sottratta a questo tipo di richieste). O, in alternativa, la Polizia postale avrebbe potuto svolgere altri tipi di attività come quello di chiedere al gestore telefonico i file di log in o l’indirizzo IP.
In sintesi, si è accertato che il contenuto del post fosse diffamatorio, ma se da una parte non si poteva escludere con assoluta certezza che a scriverlo fosse stata la siracusana, dall’altro non era altrettanto certo che a scriverlo fosse stata la stessa. Un dubbio, ritenuto “serio e motivato” dal giudice monocratico del Tribunale di Siracusa, Francesco Scollo, che lo scorso 31 gennaio si è quindi determinato con l’assoluzione dell’imputata “per non aver commesso il fatto”. È bene precisare, inoltre, che sulla vicenda, anche il Pm titolare dell’indagine, il dottor Tommaso Lauretta, aveva chiesto l’assoluzione dell’imputata sostenendo che il commento rilasciato sui social rientrasse pienamente nel diritto di critica.
“La decisione del giudice – ha commentato l’avvocato Laura Bordone – ha evidenziato l’inadeguatezza del quadro probatorio a supporto dell’accusa, confermando l’efficacia della strategia difensiva volta a dimostrare l’assenza di elementi concreti in grado di comprovare la sussistenza del reato contestato. Decisivo, in questo contesto, è stato il contributo del dott. Antonio Barone che ha fornito un’analisi informatica dettagliata, dimostrando l’assenza di evidenze certe sull’attribuibilità del post contestato all’imputata. Questa sentenza rappresenta un importante richiamo al principio secondo cui l’onere della prova grava sull’accusa e ogni dubbio deve risolversi a favore dell’imputato – ha concluso la Bordone -. La decisione riafferma la centralità del principio di presunzione di innocenza, pilastro irrinunciabile di ogni ordinamento democratico”
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