La passione per il vino, lo studio delle varie tecniche, ma soprattutto la voglia di andare all’origine delle cose e la conoscenza delle qualità – anche climatiche – del territorio. Così è nato il “Soleggiato”, il nuovo vino ossidativo perpetuo delle cantine Marabino.
Un risultato frutto dello studio e del tempo, come ci racconta Pierpaolo Messina, patron della cantina Marabino di contrada Buonivini a Noto. Tutto ha preso il via la prima volta che Messina si è recato nella provincia francese di Champagne. “Lì – racconta – ho cercato di fare qualcosa di diverso dal solito, assaggiare cioè esclusivamente vini da vasca e botte per comprendere come nascesse questo spumante così straordinario. Niente di nuovo, semplicemente mi sono reso conto di quanto ogni volta sia importante per me andare all’origine delle cose, provare a capirle fino in fondo. Il vino in questo è straordinario – prosegue Messina – perché come pochi altri prodotti permette di alimentare la nostra curiosità, la nostra sete di conoscenza attraverso un numero potenzialmente infinito di assaggi tra territori, stili, interpretazioni diverse tra loro, vendemmia dopo vendemmia”.
Ognuno di noi vive inoltre il vino in maniera diversa, per questo è perfettamente normale che ci siano dei periodi durante i quali ci si sente più o meno vicini a specifiche tipologie, tanto da trovarci a un certo punto a non poter più fare a meno di determinati vini. “È quello che è successo a me con i cosiddetti ossidativi – dice ancora -. I Marsala, oltre ai mitici Vin Jaune dello Jura e tanti altri. La faccio breve: nel mio piccolo anni fa ho iniziato a studiare per produrre anche io un vino ossidativo a partire dalle uve del mio territorio, in particolare da quello che era il protagonista predestinato: il Moscato di Noto.”
Messina racconta di aver iniziato i propri esperimenti lasciando scolme delle botti di Moscato dolce e secco. Gli anni passavano ma il vino non assumeva nessun carattere ossidativo, anche mettendo le botti in luoghi più caldi. Con la pandemia allora si decide di non imbottigliare la produzione del Fondo alla Palma (vino secco da uve moscato), così insieme a una parte del Moscato della Torre (il passito) il vino viene messo in alcune barrique di gelso, rovere e castagno a maturare senza mai colmarle. “Dovevo riuscire a ossidarli in qualche modo – spiega Messina – Al tempo stesso iniziai una ricerca più ampia allo scopo di capire quelle che fossero le tecniche migliori”.
L’illuminazione arriva sfogliando un libro di enologia degli anni ’70. Qui il titolare delle cantine Marabino scopre una metodologia di cui non aveva mai sentito parlare, quella del soleggiamento del vino, secondo la quale i vini guadagnano in complessità grazie all’azione del sole.
Luce e calore sono fortunatamente due elementi che la fanno da padrone nel nostro territorio. “Qui a Contrada Buonivini – prosegue – vantiamo un cielo sempre limpido e terso, ricco di luce grazie anche alla vicinanza a due mari, e di calore ce n’è in abbondanza. Iniziai le prime prove mettendo le bottiglie vicino a un muro bianco volto a mezzodì, per una, due settimane. Poi iniziai a comprare delle damigiane (di difficile reperimento) e prolungai l’esposizione al sole per un mese. Osai ancora di più e arrivai fino a sei mesi e… sorpresa! Il vino migliorava, assumeva sempre più complessità mantenendo i sentori varietali tipici del Moscato. Dopo ben dodici mesi di esposizione al sole non ho più notato variazioni evolutive. Durante il soleggiamento ho misurato la temperatura del vino al centro delle damigiane e in prossimità del vetro, soprattutto nei mesi più caldi si è raggiunto il picco di temperatura: 54,4 gradi centigradi.”
Nel frattempo lo studio prosegue, anche con l’acquisto di vini spagnoli e francesi prodotti con tecniche simili, ma quei vini erano per lo più dolci, fortificati, esposti al sole e poi invecchiati in botti. “Il mio intento non era quello di produrre un vino liquoroso o dolce – racconta Messina -, volevo un ossidativo secco. Quindi abbiamo agito diversamente, volevo un vino ben evoluto, lo abbiamo fatto maturare in botti di diverse essenze per un periodo complessivo di trenta mesi. Ho messo le nuove annate di Fondo alla Palma e di Passito in botte, nello stesso tempo tutti i vini cui avevo fatto fare un passaggio in legno -in cerca di ossidazione- li ho uniti in un’unica massa, in una vasca di acciaio “perpetua”. Da quella ho prelevato il vino da esporre al sole, in damigiane, per un anno. Una pratica che agli occhi di molti parrebbe assurda ma che alla fine permette di produrre un vino unico nel suo genere.”
E così ha finalmente preso vita il nuovo soleggiato perpetuo. Luce, calore, ossigeno sono tutti fattori che possono compromettere un vino, soprattutto un vino bianco, ma in questo caso sono stati dei grandi alleati. “Abbiamo sfidato ogni regola enologica per ottenere un vino unico nel suo genere, figlio delle energie del territorio dove nasce: vigne ad alberello, suoli calcarei, luce e calore, un vero vino di territorio. I vini ossidativi – conclude – sono da un punto di vista gastronomico molto duttili. In questo caso il nostro Soleggiato, lo abbiamo chiamato così, ha una sfumatura ossidativa quasi impercettibile, è salato, fresco, invita alla beva mantenendo le tipiche note di moscato in un contesto di molteplici collocazioni, dall’aperitivo all’accostamento a frutti di mare, pesci affumicati, piatti speziati e leggeri formaggi erborinati. Il Soleggiato è un vino perpetuo, completamente secco e a bassa gradazione (12,5% vol.), nella bottiglia quindi non troverete l’annata ma abbiamo deciso di specificare l’anno di imbottigliamento per poterlo distinguere dalle edizioni future!”
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