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Siracusa, no definitivo al centro sportivo in viale Scala Greca. Il Tar dichiara “improcedibile” il ricorso della società

Il Comune stipulò alla fine del 2012 una convenzione con cui si concedeva per 15 anni un’area in cui realizzare un impianto sportivo: 10 mila mq a 3.125 euro annui

L'area su cui sarebbe dovuto sorgere l'impianto

Una struttura all’avanguardia in centro città. Questa l’intenzione, ma il terreno su cui costruirvi era stato praticamente “donato” dal Comune a un privato. Da qui la polemica che ha portato allo stop del progetto. E così il centro sportivo Epipoli aveva presentato ricorso al Tar di Catania dopo essersi visto negare il via libera per la realizzazione dell’impianto sportivo in viale Scala Greca. Ma il Tribunale amministrativo ha dichiarato il ricorso improcedibile chiudendo la questione dopo quasi 10 anni.

La notizia venne pubblicata in anteprima sul nostro giornale alla fine del 2013, poi il silenzio assoluto per mesi fino a quando la politica locale si accorse di quanto stava accadendo e sollevò il polverone a cui si aggiunsero altre polemiche.

La vicenda aveva tratto origine dall’invito rivolto, già nel 2007, dal Comune di Siracusa alla stessa associazione, di abbandonare l’impianto sportivo precedentemente gestito in altra area in quanto al suo posto avrebbe dovuto essere realizzata una strada, ritenuta di fondamentale importanza per la vita cittadina, tra via del Porto Grande e via Perasso. Arteria così importante, che non è più stata realizzata, tra l’altro. L’amministrazione di allora pensò quindi di “risarcire” il precedente utilizzatore dell’area appartenente al dopolavoro ferroviario.

Il Comune, così, stipulò alla fine del 2012 una convenzione con cui si regolava la concessione per 15 anni di un’altra area, tra il viale Scala Greca e il viale Santa Panagia, in cui realizzare un impianto sportivo: in tutto 10 mila metri quadrati per appena 3.125 euro annui. Il privato presentò al settore Urbanistica un progetto che prevedeva campi di calcio e altre attrezzature funzionali, l’iter andò avanti in virtù della convenzione (anche se nel frattempo l’associazione passò la palla a un’altra società). Solo dopo la denuncia dell’ex deputato Roberto De Benedictis l’amministrazione nel 2014 decise di muoversi con la revoca in autotutela della vecchia delibera di Giunta che prevedeva la concessione in diritto di superficie di aree per la realizzazione di impianti sportivi. E il dirigente negò il rilascio della concessione edilizia per la realizzazione dell’impianto sportivo su un’area destinata a Servizi (verde pubblico, gioco e sport).

Il Tar nel 2015 negò la sospensiva pur senza entrare nel merito della questione, così l’associazione decise di iniziare ugualmente i lavori sull’impianto, senza passare da Comune o Genio civile, e nel 2017 scattarono i sigilli per un’opera di fatto avviata senza alcun titolo edilizio e fermata dopo la realizzazione di pali dell’illuminazione, cordoli di perimetrazione dell’area e scavi di fondazione.

Secondo la società ricorrente, il diniego era stato motivato con l’asserita mancanza di conformità urbanistica del progetto edilizio, ritenuto contrastante con la destinazione del terreno ad attrezzature per verde pubblico e sarebbe stato illegittimo soprattutto alla luce della preventiva scelta del sito e della valutazione di compatibilità dell’intervento da parte dello stesso Comune di Siracusa. I legali dell’ente, dal canto proprio, evidenziavano che il progetto definitivo, anzitutto, non sarebbe stato identico a quello presentato in sede di determinazione del canone per la concessione dell’area interessata e che sarebbe stato privo dell’indicazione delle opere di urbanizzazione primaria e illegittimo nella parte relativa alla realizzazione di un passo carrabile non rientrante nell’ambito della concessione. In vista della discussione di merito del ricorso, la stessa amministrazione presentava un’ulteriore memoria nella quale evidenziava preliminarmente di aver revocato, nel 2020, la concessione d’uso dell’area affidata a seguito della ormai famosa convenzione del 2013. Questo provvedimento non è stato impugnato dalla società e così è venuto meno il titolo per poter disporre dell’area, quindi la richiesta di rilascio del titolo edificatorio è divenuta priva di fondamento giuridico, mancando lo stesso presupposto materiale e giuridico – il possesso e la detenzione dell’area – per poter effettuare l’attività edilizia di interesse della ricorrente.

Per questo il ricorso è improcedibile, ma i giudici amministrativi si sono spinti oltre riconoscendo come le aree destinate a verde pubblico attrezzato per le attività sportive non possano essere considerate e neanche assimilate ad aree edificabili: “sia perché non esiste un “tertium genus” tra aree edificabili e non edificabili, sia, soprattutto, perché la tipologia di opere previste (chioschi, impianti e attrezzature sportive) non costituiscono estrinsecazione dello “ius aedificandi”, ma sono solo funzionali alla realizzazione del fine pubblicistico”.


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