È il 29 novembre del 2016, sono le 16.43 e arriva in redazione una mail dalla Pec dell’avvocato Giuseppe Calafiore su mandato della società Commercial Hub S.r.l.: “si preannuncia richiesta di risarcimento danni per euro 1 milione in solido al giornalista, diffidando contestualmente la redazione in indirizzo ad eliminare il suddetto articolo stampa”. Un milione di euro di risarcimento! Questa la richiesta alla nostra redazione, perché avevamo scritto che il centro commerciale non era autorizzato all’apertura. Un milione di euro e la diffida a cancellare subito la notizia. Un milione di euro. E capisci di aver colpito qualcosa di molto grande, più di quanto potessimo pensare in quel momento.
Faccio una premessa: da tempo seguivamo la vicenda Fiera del Sud, il nostro giornalista Luca Signorelli aveva un filone interessante tra le mani e voleva approfondirlo. Tornando alla mattina del 29 novembre, carte alla mano e con i documenti che provavano la nostra tesi, decidiamo di pubblicare l’articolo in questione a un giorno dall’inaugurazione del centro commerciale. E boom, entriamo ufficialmente (e forse definitivamente) con la nostra inchiesta sul caso Open Land.
Non sapevamo ancora cosa ci aspettasse, ma le carte c’erano, l’articolo era corretto, effettuate verifiche e contro verifiche. Eppure arriva la mail da un milione di euro. Certo, ci aspettavamo una replica, un’eventuale rettifica, qualsiasi cosa ma di certo non la richiesta di una cifra così stratosferica, ben oltre le nostre possibilità. Dopo una breve ma accesa riunione di redazione, decidiamo che la mail è “un’intimidazione” bella e buona e di non cancellare nulla per non fare alcun passo indietro. Bisognava andare avanti. Se la cifra era così alta, voleva dire che gli interessi che avevamo toccato e che Signorelli aveva intuito dovevano esserlo altrettanto. Per la cronaca, quella era una “intimidazione”, perché solo così può essere chiamata, dato che non è seguita alcuna richiesta di risarcimento in tribunale.
Continuiamo a scrivere senza sosta in questi due anni, a trovare carte, ipotizzare collegamenti, sollecitare fonti, ascoltare il parere del nostro legale a ogni articolo da pubblicare solo per raccontare i fatti. Nel frattempo subiamo attacchi mediatici, diretti e indiretti, da alcuni colleghi, dal consigliere Simona Princiotta (che ricordiamo essere difesa dallo stesso avvocato Calafiore e che non lesina insinuazioni di alcun tipo) ma decidiamo di proseguire. Non rispondiamo, a nulla, e andiamo avanti e scopriamo che la storia è sempre più intrecciata e ampia di quanto di aspettassimo. Nell’ultimo anno l’avvocato Calafiore ci notifica due citazioni per danni psicologici in sede civile per un totale di 100.000 euro. Tutt’ora in sede istruttoria. Una perché ipotizzavamo collegamenti tra Amara, lo stesso Calafiore e l’ex presidente del Consiglio di Stato Riccardo Virgilio (i primi due oggi sono arrestati, il terzo indagato). Un’altra per l’articolo in cui collegavano Open Land ad Aprom, avvocati e giudici (inutile dire che in questa inchiesta sono tutti citati). In più arrivano due querele per diffamazione, una sempre di Calafiore, l’altra del parlamentare uscente Pippo Zappulla, lo stesso che ha appoggiato Simona Princiotta a spada tratta, lo stesso che ha presentato l’interrogazione parlamentare su sollecito della stessa. Archiviate entrambe, anche dopo l’opposizione. Insomma, ci “sporchiamo” le mani.
Partiamo a Perugia nell’aprile del 2017 al festival internazionale del Giornalismo. Conosciamo le migliori firme del giornalismo di inchiesta, ci confrontiamo e veniamo incoraggiati a non mollare, a raccontare la notizia come la conosciamo. Ma con prudenza. Nei mesi successivi veniamo anche ascoltati come persone informate sui fatti. Scriviamo e veniamo contattati da giornalisti de L’Espresso e ci ritroviamo a collaborare ed essere citati da “Il Fatto Quotidiano”. Ecco, questi gli unici due giornali attivi sulla vicenda e che forse avevano fiutato qualcosa, oltre alla Civetta Di Minerva che aveva scoperchiato i primi “Veleni in Procura”.
La cosa più difficile però non è stata questa, ma trovare il modo di raccontare ciò che sapevamo. Trovare le parole, la forma e i modi per far capire ai nostri lettori cosa stesse accadendo. Siamo la redazione di una piccola città del sud ma dai grandi interessi. Una sola idea restava ben incisa nelle nostre teste in questo tsunami: “tenere la schiena dritta”. E così è stato. Non sappiamo come finiranno le vicende dei personaggi inseriti nell’inchiesta della Guardia di Finanza, oggi indagati o arrestati, di tutti gli “attori” che in questi giorni appaiono insieme, tutti in una volta. A confermare la bontà delle nostre intuizioni.
Non spetta a noi decidere se gli arrestati siano o meno colpevoli, noi continueremo a raccontare, con la schiena dritta, tutto quello che accade, finché sarà nelle nostre possibilità: “la stampa serve chi è governato, non chi governa”, è una frase tratta dalla sentenza della Corte suprema americana. E stampata nella nostra memoria.
Ci siamo anche trovati di fronte a un brusco stop improvviso. Era il 15 novembre del 2016, siamo con tutta la redazione alla conferenza di Renzi al teatro Vasquez. In quel momento va in onda un servizio de “Le Iene” dal titolo: “Siracusa: il Comune è cosa loro”. Amo Le Iene da sempre, non vedevamo l’ora di guardare la puntata, ma va in onda un servizio che ci lascia a bocca aperta. Tolte alcune vicende sulle quali non entro nel merito, perché ci sono ancora indagini in corso, l’inviato Dino Giarrusso fa una ricostruzione totalmente diversa rispetto a ciò che avevamo provato a spiegare da un anno, senza la forza di una rete tv nazionale. Un disastro. Mi tocca fare una precisazione: avevamo contattato Dino Giarrusso per metterlo a conoscenza di alcune informazioni in nostro possesso. Era ben informato, quindi. E ora la domanda che vorrei fare a Giarrusso, candidato del Movimento 5 Stelle, è cosa pensa degli ultimi risvolti contenuti nelle ordinanze delle Procure di Roma e Messina. Dino Giarrusso, durante le riprese di quei giorni, era “accompagnato” dall’avvocato Giuseppe Calafiore e dal consigliere Simona Princiotta. Non era vietato, ci mancherebbe, ma aveva la possibilità di farsi alcune domande, soprattutto se credere fedelmente oppure no solo a determinate ricostruzioni. Forse, oggi, userebbe altre precauzioni.
L’ultima domanda che continuo a farmi e su cui ancora oggi non ho risposta è particolarmente delicata: 8 Pubblici ministeri, mettendo a rischio la propria carriera, pongono la propria firma su un documento ufficiale contro altri tre colleghi della stessa Procura. Usciamo dai “Veleni in Procura” con la condanna dell’ex procuratore capo Ugo Rossi e del magistrato Maurizio Musco, quest’ultimo indagato anche oggi. Quale ruolo ha giocato il nostro Procuratore Capo Francesco Paolo Giordano in tutta questa vicenda? Il “vigile”, come lo soprannominavano Calafiore e Longo, era venuto a Siracusa per dare ordine a questa Procura e, a quanto pare, il suo obiettivo è fallito. In ogni caso, da questa vicenda, la città ne esce sconfitta.
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni