Pericolo dazi, rischi per l’export, nuove varietà Piwi, climate change in vigna. Ma anche leggerezza, semplicità e voglia di freschezza.
Sono molti i temi emersi al Vinitaly durante i quattro giorni più importanti del mondo del vino, italiano e non solo. L’incertezza legata agli effetti post-decisioni del presidente americano Trump per i dazi Stati Uniti-Europa non ha placato la voglia di sperimentare di molti appassionati accorsi a Verona. L’edizione di quest’anno si è chiusa con 97.000 presenze complessive e con un’incidenza degli operatori esteri che sale al 33% del totale: oltre 32.000 buyer da oltre 170 nazioni, con un incremento in assoluto del 7% rispetto all’edizione precedente.
Cambia anche la tendenza del consumatore, come sottolineato da Marilina Paternò di Cantina Marilina. “La moda riguarda i vini frizzanti da metodo ancestrale, come i due che produciamo noi. Sono vini anche torbidi ma che sanno di antico. E la gente ha molta curiosità”.
Anche per i rossi la tendenza è in evoluzione. “La richiesta è di rossi molto leggeri, con gradazioni alcoliche basse, strutture leggere. Il nostro territorio si sta difendendo bene, producendo Nero d’Avola diversi ma senza perdere in qualità”.
Dai dati Ismea, il settore vitivinicolo italiano con 14 miliardi di euro di fatturato nel 2024 rappresenta il 10% dell’agroalimentare nazionale, grazie a 241 mila aziende agricole, agli oltre 680 mila ettari di superficie viticola investita nel 2024 e alle circa 30 mila imprese vinificatrici. I 44 milioni di ettolitri prodotti nel 2024 pongono il nostro Paese al vertice della classifica dei produttori mondiali, mentre l’export, pari a quasi 22 milioni di ettolitri per oltre 8 miliardi di fatturato, conferma la nostra leadership tra i fornitori mondiali in volume e la seconda posizione in valore.
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni