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Usura, mafia e droga tra Floridia e Solarino, assolto il presunto boss Aparo. Il legale: “ha chiuso con quella vita”

Il presunto boss dell'omonimo clan è difeso dall'avvocato Antonino Campisi, il quale dopo l'assoluzione ha voluto ribadire come Aparo abbia voltato pagina

Dopo un’attenta disamina anche la Corte di Appello di Catania lo scorso 10 luglio ha confermato la sentenza di assoluzione di primo grado emessa nei confronti di Antonio Aparo, difeso dal penalista avolese Antonino Campisi.

Lo stesso a distanza di 33 anni di carcere veniva nuovamente chiamato a rispondere dei reati di cui “agli artt. 416 bis. Co. 1, 2, e 3 c.p., 71 d.lvo 159/2011 per aver fatto parte dell’associazione di tipo mafioso denominata “Clan Aparo”, operante principalmente nel territorio di Floridia e Solarino, ed essersi avvalso della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivava per commettere una serie indeterminata di delitti di usura, di traffico di sostanze stupefacenti e di danneggiamento seguito da incendio, nonché per acquisire in modo diretto o indiretto il controllo e la gestione di attività economiche e per conseguire, comunque, profitti e vantaggi ingiusti per se e per altri

Fatti commessi in Floridia e Solarino dal mese di Marzo 2017 almeno sino al mese di Marzo 2018. Tale assunto accusatorio, come riferisce l’avvocato Campisi, “è risultato totalmente infondato, nonché deficitario in ogni suo elemento probatorio, sia in primo grado e adesso persino avanti la Corte di Appello di Catania che lo ha assolto con formula piena, in quanto come ha gridato a gran voce e a cuore aperto il Sig. Aparo Antonio in sede di interrogatorio di garanzia ed in sede di riesame, avanti il Magistrato di Sorveglianza di Milano, al fine di evidenziare ulteriori circostanze utili, lo stesso è risultato essere innocente.”

Ad Antonio Aparo venivano contestati i reati di cui sopra, per essere presuntivamente considerato il direttore ed organizzatore del clan Aparo, in forza di un’attività investigativa risultata culminata con l’operazione “San Paolo” svolta dai Carabinieri di Siracusa su richiesta della Dda di Catania nel luglio 2020. In quell’occasione, infatti, vennero eseguite 24 misure cautelari (19 in carcere e 5 ai domiciliari). Per gli inquirenti Aparo avrebbe impartito ordini dal carcere di Opera a Massimo Calafiore, che sempre per l’accusa in quel momento era il reggente del clan, attraverso delle lettere.

Tale accusa veniva mossa priva di riscontri a sostegno – prosegue il legale -, poiché gli investigatori hanno dato peso al contenuto delle intercettazioni di irrilevante profilo investigativo captate tra Massimo Calafiore ed altri coindagati, conversazioni tutte in cui non vi è mai la presenza attiva e/o indiretta dell’odierno indagato e/o la presenza di alcuno dei suoi parenti più stretti, né di qualsiasi membro della famiglia Aparo. Il Sig. Aparo Antonio veniva tirato in ballo perché chiamato in causa indirettamente, senza essere a conoscenza di nulla e de relato da Calafiore Massimo. Per quanto riguardava le lettere oggetto di contestazione, fa presente che sono delle lettere inviate al proprio figlio il cui contenuto nulla a che fare con ordini, disposizioni e/o direttive da portare fuori dal carcere e fare avere al Sig. Calafiore Massimo e/o qualcun altro presunto reggente di un clan inesistente”.

Dopo un’attenta indagine difensiva svolta dall’Avv. Antonino Campisi, è stato dimostrato quale fossero le lettere suddette ed il loro vero contenuto: “la lettera del 27.09.2017  -spiega – è la prima che viene inviata al proprio figlio dopo la fuoriuscita dal 41 bis per opera dello stesso Ministro della giustizia, in cui il Sig. Aparo nel chiedere al figlio i beni di prima necessità che gli servono si lascia andare ad una provata commozione, la lettera del 13.10.2017 esprime tutta la sua felicità nell’aver avuto la possibilità di abbracciare suo figlio e fa sapere degli indumenti che gli servono per la nuova stagione e richiede alcuni generi alimentari da spedirgli; la lettera del 04.12.2017, dello stesso contenuto delle due precedenti, pertanto, nessuna lettera veniva inviata ad altri soggetti diversi dal proprio nucleo familiare.”

L’avvocato Campisi, inoltre, riferisce come il suo assistito abbia tenuto un percorso carcerario “encomiabile”, mirato alla propria rieducazione e sfociato in una vera rivisitazione critica del suo passato. “Lo stesso – prosegue sempre l’avvocato Campisi – ha maturato una vera e propria rivisitazione critica del suo passato tale da portarlo nei primi mesi del 2020 a girare un film intitolato “Spes contra Spem” con altri ergastolani del carcere di Opera in collaborazione con il Direttore della suddetta struttura penitenziaria, con il Magistrato di Sorveglianza di Milano, con il Comandante della polizia Penitenziaria, e con il patrocinio e assistenza dell’Associazione Nessuno Tocchi Caino ed il Partito dei Radicali, e dopo aver atteso l’esito del Riesame, nel 2020, ha scritto una bellissima lettera aperta al Sindaco in cui si dissocia dal suo passato, invitando i suoi concittadini a stare lontano di chi eventualmente millanti il suo nome ed esorta i giovani a stare lontano dalle cose illecite. Tale atto pubblicato nel giorno della memoria delle vittime di mafia ha avuto un effetto mediatico non indifferente, nella stessa giornata sia la lettera, sia l’intervista fatta da Aparo in occasione del film intitolato “Spes contra Spem” è andato in onda su tutti i telegiornali nazionali e locali. Nell’occasione lo stesso ha messo al nudo la propria vita e pubblicamente la propria storia personale e giudiziaria, pentendosi degli errori fatti, spiegandone i motivi e, soprattutto raccomandando alle prossime generazioni di stare lontano da qualsiasi ambiente criminale.

 


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