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“Se son fiori moriranno” al Teatro Massimo di Siracusa

Il primo atto di un Dittico del sabotaggio che il regista Rosario Palazzolo ha concluso con lo spettacolo “Ti dico una cosa segreta”

Foto di Rosellina Garbo

Se son fiori moriranno, dal testo e dalle regia di Rosario Palazzolo, con Simona Malato e Chiara Peritore andrà in scena il 20 e il 21 marzo al Teatro Massimo Città di Siracusa per poi replicare al Piccolo Teatro della Città di Catania il 22 e il 23 marzo.

Se son fiori moriranno è il primo atto di un Dittico del sabotaggio che il regista Rosario Palazzolo ha concluso con lo spettacolo “Ti dico una cosa segreta”, andato in scena qualche giorno fa al Teatro Biondo di Palermo. La messa in scena rientra nella stagione teatrale Nuovoteatro, dedicato alle drammaturgie più contemporanee e vedrà in scena Simona Malato, Chiara Peritone e la voce di Delia Calò. Lo spettacolo approderà a Siracusa al Teatro Massimo Città di Siracusa mercoledì 20 (ore 21) e giovedì 21 (ore 17,30) marzo. Si sposterà al Piccolo Teatro della Città di Catania il 22 e il 23 marzo.

“Sabotare la realtà con l’immaginazione – dice il regista – è l’unica alternativa che abbiamo, la sola che ci permette di spostare in avanti il limite del precipizio, ridisegnando continuamente il panorama, costruendo immaginari improbabili con una risolutezza manichea, che riesce a trasfigurare la verità. Ma l’immaginazione – aggiunge – è una manna, una maledizione, un ordigno e una trappola, è ciò da cui non riusciamo a separarci, ciò che difendiamo con la nostra stessa vita gettando sul piatto pure quello che non abbiamo, purché rallenti l’inesorabilità degli eventi, esponendoci a un’agonia insopportabile, che impariamo a sopportare. Questo spettacolo, dunque, mi costringerà a fare i conti con l’indagine più perniciosa di tutte, quella che può considerarsi una specie di sudario volontario per chiunque abbia la presunzione della creazione, ovvero l’indagine sul concetto di immaginazione”.

Al centro di questa pièce teatrale una madre e una figlia, un’agonia lunga quindici anni, una stanza sprangata, un dolore che grida l’ingiustizia della vita, che sbatte sulle pareti e che fa eco sui corpi, che si allunga e si allarga continuamente, che si contrae, che prova a far cambiare faccia alla faccia, umore all’umore, trasformandosi in un’alternativa, la migliore di tutte, anzi l’unica possibile:l’immaginazione. Finzione e realtà così si inseguono alla ricerca di una qualche gioia e verità. Il pubblico diventa un sostegno silenzioso, che osserva e giudica, che decide, e che a un certo punto avrà in mano la responsabilità di acchiappare i personaggi e portarli altrove, fosse solo nelle proprie vite.

Palazzolo dona agli spettatori un testo forte, poetico, fatto di parole reinventate, ironiche con una messa in scena che diventa un affresco tremendo, rocambolesco, un marchingegno irriverente, pirotecnico e divertente, disperato e sfavillante, pieno zeppo di musiche, di peripezie e di colpi di scena e che sarebbe ingiusto perdere.


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